La rivista Journal of Medicinal Food pubblica una sintesi di tutte le ultime ricerche sull’interazione tra batteri intestinali e sistema nervoso centrale; appurata ormai l’esistenza di un asse intestino-cervello e di vari meccanismi di interazione, gli scienziati sono già proiettati verso il prossimo traguardo: curare una serie di malattie con diete ‘modifica-microbioma’ e supplementazione di prebiotici e probiotici
Leo Gallande colleghi della Foundation for Integrated Medicine di New York, autori del lavoro pubblicato su Journal of Medicinal Food, dopo aver valutato tutte le ultime pubblicazioni in materia, presentano la summa di tutte le ultime ricerche sulla relazione tra composizione della flora batterica intestinale e sistema nervoso centrale nell’uomo.
Il microbioma di un uomo adulto contiene normalmente 5 diversi gruppi di batteri: quelli maggiormente rappresentati sono Firmicutes e Bacteroidetes, mentre Actinobacteria, Proteobacteria e Verrucomicrobia costituiscono appena il 2% del totale. Una dieta ricca di proteine animali, favorisce la crescita dei Bacteroides; in chi segue una dieta vegetariana o una ricca in monosaccaridi sono invece abbondantemente rappresentati i Prevotella. Un elevato consumo di oligosaccaridi infine, favorisce la crescita dei Bifidobacteria, il ceppo più rappresentano nell’intestino dei neonati allattati al seno.
Il microbioma intestinale può influenzare la salute del cervello in diversi modi. Alcune componenti della struttura dei batteri ad esempio, quali i lipopolisaccaridi, esercitano continuamente una blanda stimolazione sul sistema immunitario; quando questa stimolazione ‘fisiologica’ diventa eccessiva, come accade in caso di dismicrobismo intestinale, si può verificare una crescita incontrollata di batteri nell’intestino tenue o un’aumentata permeabilità intestinale che a loro volta determinano un’infiammazione sistemica o a livello del sistema nervoso centrale.
Alcune proteine batteriche possono dare reazioni crociate con alcuni antigeni umani e questo evoca delle risposte ‘sbagliate’ da parte dell’immunità adattativa, che possono condurre a malattie autoimmuni.
Ci sono enzimi batterici in grado di determinare la produzione di metaboliti neurotossici, quali ammoniaca e acido D-lattico; ma anche alcuni metaboliti ‘benefici’, quali gli acidi grassi a catena corta (SCFA), possono esercitare un’azione neurotossica. Se è vero infatti che gli SCFA possono inibire l’infiammazione, dall’altra, alcuni studi ne suggeriscono un possibile ruolo nella patogenesi dei disordini dello spettro autistico (ASD).
Sul versante ormoni e neurotrasmettitori, è noto che alcuni batteri intestinali sono in grado di produrne ‘copie’ identiche a quelle secrete dalle cellule specializzate dell’organismo; i batteri inoltre possiedono dei recettori specifici per questi ormoni che, se stimolati, possono influenzare la crescita e la virulenza dei batteri stessi.
I batteri intestinali infine sono in grado di stimolare direttamente i neuroni afferenti del sistema nervoso enterico e inviare così segnali al cervello, attraverso il nervo vago.
Attraverso tutte queste vie i batteri intestinali riescono dunque ad interagire con il funzionamento del sistema nervoso centrale, fino a modificare l’architettura del sonno e ad influenzare la reattività allo stress dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni.
I batteri intestinali – ricordano gli autori – possono influenzare la memoria, ma anche il nostro umore e addirittura le funzioni cognitive.
Il microbioma è insomma ormai un argomento ‘caldo’ in molte branche della medicina, dalle malattie autoimmuni a quelle infiammatorie intestinali alle patologie cardiovascolari. Dopo anni di ricerche mirate a distinguere i batteri intestinali ‘buoni’ da quelli ‘cattivi’, la nuova frontiera della ricerca in questo campo è cercare di alterare la composizione del microbioma, per correggere o trattare alcune condizioni patologiche.
Ci si sta provando attraverso modifiche della composizione della dieta, che dovrebbero alterare la composizione del microbioma, o mediante la somministrazione di prebiotici o di probiotici per le condizioni più disparate: dall’alcolismo, alla sindrome da stanchezza cronica, alla fibromialgia, alla restless leg syndrome.
E non mancano filoni di ricerca che indagano i rapporti tra microbioma intestinale e sclerosi multipla o manifestazioni neurologiche della celiachia. Recenti studi indicano ad esempio che una riduzione di Bifidobatteri a livello del microbioma intestinale sembra giocare un ruolo patogenetico nella celiachia e forse contribuisce alla sua aumentata prevalenza. La somministrazione di Bifidobacterium longummigliora l’enteropatia da glutine in un modello animale; per questo, la supplementazione di Bifidobacteria è stata proposta come possibile intervento di prevenzione della celiachia, nei soggetti ad alto rischio.
Il microbioma è insomma una specie di ‘alien’ che si sta appena cominciando a conoscere e che in futuro si cercherà di ‘domare’, allo scopo di correggere una serie di alterazioni e di curare varie patologie.
Intestino e depressione
In considerazione dell’importante aumento dei casi di Depressione nel mondo occidentale, questa patologia è oramai una delle maggiori cause di malessere nonchè un onere sociale importante, diventa quindi indispensabile capirne sempre meglio le cause multifattoriali e studiare nuove forme di prevenzione e supporto alla cura farmacologica. La Depressione sarà, infatti, la malattia di maggiore impatto sociale ed economico nei futuri anni, come segnalato dalle indagini statistiche dell’OMS.
Innumerevoli studi stanno cercando di valutare, in modo sempre più approfondito e scientificamente provato, quali possano essere nuovi obiettivi per la prevenzione e per la cura di questa malattia. Tra i tanti trovano ampio consenso quelli riguardanti le connessioni tra lo stato di salute dell’intestino e la composizione della flora batterica intestinale con i Disturbi dell’Umore e quelli del Comportamento.