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Che cosa sono le sostanze perfluroalchiliche (PFAS)?

Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti chimici prodotti dall’uomo e pertanto non presenti naturalmente nell’ambiente, costituite da catene fluorurate di un numero variabile di atomi (da 4-16).

Il legame tra carbonio e fluoro nei PFAS impartisce loro stabilità chimica e termica e sono impermeabili all’acqua e ai grassi. Grazie a tali caratteristiche i PFAS vengono utilizzati per fornire proprietà repellenti a acqua, olio e per aumentare la resistenza alle alte temperature di tessuti, tappeti e pellami, per produrre rivestimenti impermeabili per piatti di carta, padelle antiaderenti e imballaggi alimentari, e come coadiuvanti tecnologici nella produzione di fluoropolimeri. Sono utilizzati anche in cromatura, nelle schiume antincendio, e in molte altre applicazioni. Per molti anni i PFAS più utilizzati sono stati quelli a 8 atomi di carbonio come PFOS (perfluorootaansulfonato) e PFOA (acido perfluoroottanoico); a causa della loro persistenza ambientale e alla possibilità di accumularsi negli organismi dove permangono per periodi prolungati, a partire dagli anni 2000 alcune ditte produttrici hanno previsto l’interruzione della produzione e la sostituzione di PFOA e PFOS, cambiando i processi di produzione, riducendo il rilascio e il livello di questi composti a 8 atomi di carbonio. I PFAS a catena lunga sono stati sostituiti da PFAS a catena più corta (6 o 4 atomi di carbonio) tra cui : l'acido perfluorobutanoico (PFBA), l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), e l’acido perfluorobutan-sulfonico (PFBS), che nelle applicazioni industriali hanno proprietà simili a PFOS e PFOA, pur essendo meno efficienti.

Dove si trovano i PFAS?

In seguito al rilascio durante la fabbricazione, l’uso e lo smaltimento dei prodotti che li contengono, PFOA e PFOS essendo chimicamente stabili nell’ambiente e resistenti ai tipici processi di degradazione risultano essere persistenti e presenti sia nel suolo che nell’aria dove possono rimanere per giorni ed essere trasportati prima di cadere sul suolo. Qui essi si muovono facilmente attraverso terreni sotterranei dove possono percorrere lunghe distanze e contaminare le acque. Ed è proprio grazie alle loro caratteristiche sia idrofile (affini all’acqua, grazie al gruppo acido o sulfonato) che in parte lipofile (affini ai grassi, grazie alla catena fluorurata) che nelle normali condizioni ambientali i PFAS sono trasportati prevalentemente attraverso gli ambienti acquosi.

I PFAS a catena corta in forma ionica sono prevalentemente in acqua disciolti e pertanto posseggono un maggiore potenziale di trasporto rispetto a PFOS e PFOA per lunghe distanze attraverso ambienti acquatici.

I PFAS possono quindi contaminare in modo significativo le acque superficiali e sotterranee.

I PFAS sono in grado di accumulare negli organismi animali e vegetali, anche se la persistenza dei PFAS a catena corta è minore.

Come possiamo essere esposti ai PFAS?

Le principali fonti di esposizione per la popolazione sono generalmente l’ingestione di acqua potabile contaminata o di cibi con alti livelli di questi composti (ad esempio, pesce e uova). La popolazione generale può essere anche esposta attraverso l’inalazione di aria contenente polveri o contatto di superfici o suoli contaminati, ma la via inalatoria è generalmente rilevante per chi è esposto professionalmente (esempio i lavoratori dei siti produttivi). Infatti, nelle industrie che hanno prodotto o utilizzato PFOA e PFOS, i lavoratori possono essere stati esposti a quantità elevate come è stato riscontrato dal ritrovamento di alti livelli di queste sostanze nel sangue. Per la popolazione residente in località vicino a tali impianti nei quali l’acqua è stata contaminata, l’acqua potabile è risultata la fonte di esposizione principale, seguita da esposizione attraverso gli alimenti e l’inalazione.

In che modo entrano nell’organismo e come vengono eliminati?

I PFAS sono assorbiti rapidamente ed efficientemente in seguito ad ingestione ed inalazione: poiché si legano alle proteine del plasma e non sono metabolizzati dall’organismo si accumulano e si ritrovano nel plasma, nel fegato e in minor misura nel rene. Vengono eliminati dai reni, ma nella specie umana l’eliminazione è molto lenta perché una volta filtrati nelle urine, subiscono un processo di riassorbimento che li riporta in circolo. Il riassorbimento è dovuto alla attività di trasportatori (che normalmente lavorano per recuperare molecole ‘utili’ all’organismo, ‘limitando gli sprechi’), che sono sotto il controllo ormonale. Infatti il riassorbimento è minore nelle femmine di varie specie, uomo compreso: per questo motivo i PFAS permangono più a lungo nel maschio. Il tempo di dimezzamento (o semivita t 1/2 ), vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si riducono a metà (se non si è più esposti) è in media maggiore di 3 anni nell’uomo (con una elevata variabilità: essendo gli intervalli 0.4 a 11.5 anni per il PFOS e da 1.5 a 14.7 anni per il PFOA). Le differenze dipendono dal genere: nei maschi i tempi di dimezzamento sono più lunghi che nelle femmine. Valori molto minori sono stati descritti per PFBS (24 giorni nell’uomo e 46 giorni nella donna) e per PFBA ( 72 e 87 ore nell’uomo e nella donna, rispettivamente).

Quali sono i possibili effetti sulla mia salute?

Sono disponibili vari studi epidemiologici in aree in cui l’esposizione è particolarmente elevata: studi di esposizione occupazionale (essenzialmente per inalazione a PFOS e PFOA) condotti in 4 siti (Minnesota, Alabama, West Virginia, e Olanda) e di esposizione a PFOA (e presumibilmente a PFOS ed altri PFAS) per ingestione di acque potabili (e/o alimenti) contaminate di residenti in aree adiacenti a discariche e siti produttivi (es:C8 Health Project, C8 HealthStudy: Ohio).

I risultati sono spesso contrastanti: alcuni studi trovano una associazione tra esposizione ed effetti sulla salute e altri la negano. Questi studi quindi non hanno fornito informazioni certe sulle possibili relazioni tra i livelli di PFOA e PFOS nel sangue e potenziali effetti sulla salute: non è stato ancora possibile cioè stabilire relazioni causa-effetto né dose-risposta, anche in una popolazione come quella dello studio C8 in Mid-Ohio negli Stati Uniti che è risultata altamente esposta ed è sotto controllo da almeno un decennio. La presenza di PFAS nel sangue non significa inequivocabilmente che sia la causa di una patologia e anche quando si trovi una associazione ‘statistica’ tra i livelli del siero e una patologia non necessariamente quest’ultima è stata causata dai PFAS: altri fattori confondenti possono essere la causa e l’associazione potrebbe essere casuale. Ecco perché è necessario dimostrare il nesso causale e la dipendenza dalla dose.

L’associazione più volte riscontrata nei vari studi con un andamento dipendente dalla dose di esposizione interna (livelli ematici più alti di PFOA e PFOS corrispondono all’effetto più marcato), è un aumento di livelli di colesterolo nel sangue e di acido urico, con possibile aumentato rischio di ipertensione. L’interpretazione dei dati è resa ancora più difficile quando gli effetti siano così comuni nella popolazione generale e poco specifici per la presenza di fattori confondenti (ad esempio, i livelli di colesterolo possono essere altamente influenzati dagli stili di vita).

Sebbene alcuni studi abbiano suggerito una possibile correlazione in soggetti esposti a dosi molto alte (es: i lavoratori dei siti produttivi) con tumori testicolari e renali, a causa di incongruenze osservate, non è stato possibile concludere in modo definitivo circa il legame tra l'esposizione a PFOA e PFOS e il cancro nell’uomo. Gli stessi autori indicano che gli effetti riscontrati devono essere interpretati con cautela, sia perché spesso il disegno dello studio non permette di per sé di stabilire un nesso causale, sia perché i risultati sono spesso in contrasto tra gli studi (alcuni dei quali sono di qualità scarsa e hanno un peso minore nella valutazione).

Pur essendo disponibili numerosi studi su diverse specie animali (in cui il fegato è il principale bersaglio della tossicità), l’estrapolazione di tali dati all’uomo è particolarmente difficile per le significative differenze nella permanenza di tali sostanze all’interno dell’organismo (molto inferiore nei roditori) e nel modo in cui queste provocano tossicità (alcuni meccanismi legati alla tossicità dei PFAS negli animali non sono rilevanti per la specie umana). I risultati ottenuti con PFBA e PFBS indicano una minore tossicità (circa due ordini di grandezza) rispetto ai congeneri a 8 atomi di carbonio.

Come si può sapere se si è esposti a PFAS?

I PFAS possono essere misurati nel sangue, anche se il test non è tra quelli routinari e deve essere svolto in laboratori specializzati. Poiché sono contaminanti ubiquitari, tutti siamo esposti a PFAS, i quali infatti sono stati determinati in circa il 95-100% di soggetti sottoposti ad analisi negli USA nei primi anni 2000. Studi più recenti mostrano che i livelli di PFOS e PFOA nella popolazione generale stanno diminuendo (3.07 and 9.32 μg/L in media per PFOA e PFOS, rispettivamente), a causa della interruzione della loro produzione e uso. I livelli sono molto più elevati nelle popolazioni esposte perchè residenti vicino a siti produttivi o perchè esposti professionalmente.

Articolo tratto dal sito dell'ULSS 8 Berica

Collegamenti utili

Regione del Veneto: http://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas

ARPAV: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas