Rischio di decadimento cognitivo correlato a terapia cronica con inibitori di pompa (lansoprazolo, omeprazolo, rabeprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo)
Può essere rilevante per la prevenzione della demenza indagare su farmaci che influenzano il rischio di demenza in pazienti anziani. Gli inibitori di pompa protonica (PPI) sono ampiamente usati per il trattamento delle malattie gastro-intestinali, ma si sono mostrati potenzialmente coinvolti nel declino cognitivo.
Partendo da queste premesse, gli autori di questo studio prospettico di coorte hanno voluto esaminare l’associazione tra uso di PPI e rischio di incidenza di demenza negli anziani. Hanno utilizzato i dati osservazionali dal 2004 al 2011, derivati dalla più grande assicurazione sanitaria tedesca, la Allgemeine Ortskrankenkassen (AOK). I dati sulle diagnosi e sui farmaci prescritti erano disponibili su base trimestrale. L’analisi è stata realizzata tra Agosto e Novembre 2015.
L’esposizione era relativa alle prescrizioni di : omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo, o rabeprazolo. L’esito principale era la codifica diagnostica di demenza incidente. L’associazione tra uso di PPI e demenza è stata analizzata con regressione di Cox tempo-dipendente, ed aggiustata per fattori confondenti, quali età, sesso, comorbilità e polifarmacia.
Risultati:
E’ stato analizzato un totale di 73.679 partecipanti di 75 anni o più, liberi da demenza al basale. I pazienti che avevano assunto regolarmente PPI (n = 2.950; età media 83.8 [5.4] anni; 77.9% femmine) avevano un rischio di incidenza di demenza significativamente aumentato, rispetto ai pazienti che non avevano assunto PPI (n = 70.729; età media 83.0 [5.6] anni; 73.6% femmine) (hazard ratio, 1.44 [95% IC, 1.36-1.52]; P < .001).
Alcuni fattori confondenti erano associati significativamente all’aumentato rischio di demenza, quali la depressione (HR, 1.28; 95% IC, 1.24 - 1.32; P < .001) e lo stroke (HR, 1.37; 95% IC, 1.29 - 1.46; P < .001).
Anche il diabete e la polifarmacia (più di 5 farmaci, oltre i PPI) erano associati ad un rischio di demenza significativamente aumentato.
Gli autori concludono che evitare il trattamento cronico con PPI potrebbe prevenire lo sviluppo di demenza. Questi risultati, essi sostengono, sono supportati da recenti analisi farmaco epidemiologiche su dati primari e sono in linea con modelli murini nei quali l’uso di PPI aumenta i livelli di β-amiloide nel cervello dei topi. Sono, comunque, necessari studi clinici prospettici, randomizzati, per esaminare in maggiore dettaglio questa connessione.
Commento di Patrizia Iaccarino:
Già in un precedente studio multicentrico di coorte, su database di Assistenza Primaria, dell’agosto 2015 (3) gli autori avevano riscontrato tra coloro che assumevano PPI un significativo aumento del rischio di demenza [Hazard ratio (HR) 1.38, 95 % IC 1.04–1.83] e di Malattia di Alzheimer (HR 1.44, 95 % IC 1.01–2.06) rispetto ai non consumatori di PPI. Data la bassa prevalenza d’uso di PPI, questo studio offre sicuramente una casistica più ampia per valutare tale associazione.
Nel suo editoriale di accompagnamento, Lewis Kuller, epidemiologo dell’Università di Pittsburgh, Pennsylvania, sottolinea che un aumentato rischio di demenza, anche relativamente piccolo, potrebbe tradursi in molte più persone affette da demenza nella popolazione generale. Per esempio, scrive, un rischio aumentato di 1.4 volte, come suggerito da questo studio, potrebbe aumentare il tasso di incidenza stimato di demenza dl 6.0 % all’8.4% per anno. Negli USA, 13.5 milioni di persone sono nella fascia di età 75-84; se il 3% di loro assumesse PPI, questo potrebbe esitare in un incremento di circa 10.000 nuovi casi di demenza incidente per anno solo in questo gruppo di età. Egli sottolinea che il possibile incremento di demenza possa essere legato sia alla produzione e degradazione di amiloide (almeno negli animali) sia alla riduzione della vitamina B 12 e di altri nutrienti. Gli anziani assumono molti farmaci, per le polipatologie da cui sono affetti ed in questo studio, la polifarmacia aumentava il rischio di demenza. Tuttavia, farmaci specifici potrebbero essere associati sia all’uso di PPI sia alla demenza. D’altronde, egli sostiene, le polipatologie aumentano la probabilità di incontri medico-paziente, aumentando il rischio di demenza (Berksonian bias). I determinanti delle malattie e dell’uso di PPI potrebbero essere correlati al rischio di demenza: ad es. nel Women’s Health Initiative (WHY) i partecipanti erano più poveri, erano affetti da angina ed artrite, ed in questo studio da depressione, Probabilmente vi è maggiore correlazione tra uso di PPI e alcool o fumo, come vi era con l’obesità nel WHY. D’altronde, vi è correlazione inversa tra demenza ed educazione. Nonostante tutte queste valutazioni, è importante, egli conclude, continuare ad indagare sia con studi ampi, sia con studi piccoli, sulla correlazione tra farmaci e demenza e sull’eventuale loro meccanismo d’azione.
Fonti:
1. Association of Proton Pump Inhibitors With Risk of Dementia.
A Pharmacoepidemiological Claims Data Analysis. Willy Gomm e coll. JAMA Neurol. Published online February 15, 2016.
2. Do Proton Pump Inhibitors Increase the Risk of Dementia? Lewis H. Kuller. JAMA Neurol. Published online February 15, 2016.
3. Risk of dementia in elderly patients with the use of proton pump inhibitors. Britta Haenisch e coll. European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience August 2015, Volume 265, Issue 5, pp 419-428
Articolo tratto da www.pillole.org