Voglia di protagonismo incosciente o progetto di una parte del palazzo?

Sono 328 al momento i medici morti combattendo in trincea contro il Covid.

Di questi 121 erano medici di famiglia.

 

“Stiamo assistendo da settimane, da parte di una serie di giornalisti anche cosiddetti “autorevoli” e da bolsi presentatori televisivi ed ex attori, a una sequela di insulti, inesattezze e di notizie “per sentito dire” riguardo all’attività ed al ruolo dei medici di famiglia durante questa emergenza sanitaria per il COVID-19” . Una vera e propria gogna mediatica.

“Questi signori, partendo da esperienze personali, forse, e nemmeno provate, perché, se lo fossero, loro, da cronisti seri, dovrebbero fare i nomi e cognomi e descrivere i casi, non generalizzare e allargare i concetti, offendono una intera categoria di oltre 40.000 medici che oltretutto, nelle difficoltà attuali, stanno dando il loro meglio e purtroppo in molti casi, troppi, fino alla morte, per dare il loro contributo di assistenza ai loro pazienti”.  

“Qualcuno diceva: beato il paese che non ha bisogno di eroi; ebbene secondo questi signori noi saremmo passati dagli eroi della prima ondata ai disertori della seconda, senza prove, senza processo ma solo attaccati con un qualunquismo da quattro amici di un salotto bene a farsi un apericena. Nessuna considerazione rispetto alla carenza dei dispositivi di protezione per questi medici, nessuna considerazione rispetto ai mancati investimenti per il personale (collaboratori e infermieri) che chiediamo da anni, nessuna considerazione per la media di età dei medici che compongono questa categoria figlia di una programmazione sbagliata da decenni, e da decenni da noi denunciata. 

Nessuna considerazione per le decine di migliaia dei positivi al COVID-19 assistiti sul territorio, non considerabili guariti per tutto il periodo di isolamento, ergo almeno 14 giorni, rispetto ai 30.000 circa ospedalizzati a vario titolo. 542.849 pazienti che ogni giorno hanno contattato, e a volte più volte al giorno, il loro medico di famiglia, unico riferimento rispetto a numeri verdi regionali, numeri dei SISP etc. che, o sono spariti o non  hanno risposto mai, mentre se noi a quel punto risultiamo occupati, per questi signori giornalisti non ci siamo.  

Basterebbe riflettere sul fatto che anche un paziente asintomatico o paucisintomatico, ma positivo al COVID-19, è un paziente da assistere, da sostenere, da seguire sull’evoluzione clinica, psicologica, sociale, amministrativa, e per mille altri aspetti complicati dalla buro-sanità italiana, per capire di che pressione stiamo parlando. Una pressione a cui ogni giorno non ci sottraiamo, anche fuori dalle nostre competenze di orario o di giorno della settimana, come in questo momento sta facendo qualunque medico italiano e credo al mondo. Buro-sanità e anti-semplificazione, che hanno trovato la sua massima espressione grazie al COVID-19, per esempio, nelle certificazioni di malattia per quarantena o isolamento, che io medico di famiglia dovrei certificare solo dopo l'informativa del medico di sanità pubblica, che non avviene mai. Inviato il certificato, questo viene sospeso all’INPS da un altro medico che dovrà validarlo confrontandolo con il documento del medico di sanità pubblica che dovrebbe arrivare a me, a lui e al paziente, il quale rimane comunque responsabile di quel documento, se vorrà essere pagato, di fatto impegnando tre medici solo per soddisfare lo sport italico della burocrazia e lasciando alla fine il cerino in mano al paziente. E a chi si rivolge il paziente? Al suo medico di famiglia, unico tra i tre medici direttamente rintracciabile, che deve rassicurare il cittadino rispetto ad un suo diritto, il risarcimento reddituale, e sostenerlo in un suo dovere di autoisolamento. Ma questi non sono argomenti da apericena, non descrivono la drammaticità delle terapie intensive ma entrano nel vissuto quotidiano di centinaia di migliaia di cittadini impauriti non solo dalla crisi sanitaria ma anche da quella economico-sociale, e sono gli argomenti di quegli interessi “brutti, sporchi e cattivi”. Ma tutti i numeri, i fatti descritti, gli impegni assunti con Regioni, Governo, per la medicina di famiglia italiana non contano, contano invece le opinioni di una strategia mediatica denigratoria che a questo punto ci chiediamo che scopo abbia”. 

“Forse vogliono spostare l’attenzione dei cittadini e minare la fiducia nei loro medici e evitare che si parli di altre responsabilità? Che il territorio avesse bisogno di “rilancio” era chiaro a tutti nelle fasi finali della prima ondata, e quindi? Dove sono stati investite risorse umane e economiche? Non certo nella medicina di famiglia, bensì in altri contesti della “cosiddetta” medicina territoriale che oggi nessuno cita né chiama in causa: stanno in silenzio e ben nascosti da questa discussione, altrimenti dovrebbero giustificare, insieme ai sostenitori dei modelli accentranti il territorio, il fallimento di quei modelli che invece qualcuno forse, e grazie a questo giornalismo di potere, vuole continuare a sostenere, perché nell’ideologismo è più importante credere in se stessi e nel proprio progetto che nella reale utilità per la collettività”. 

“Nonostante questi personaggi la Medicina Generale va avanti a testa alta e continuerà nella sua attività come ha sempre fatto; se ci fosse qualcuno che non fa il proprio dovere va segnalato, nessuno di noi lo difenderà. Ma se poi qualcuno usa questi mezzi perché vuole eliminarla, anche attraverso un’incosciente azione di demotivazione, deve avere il coraggio di sostenerne la chiusura oggi e vedrà, se levato il nostro argine, cosa succederà del SSN. Basta chiacchiere da salotto e apericena radical chic, noi siamo pronti sempre e comunque a confrontarci sui fatti e soprattutto abbiamo da lavorare piuttosto che perderci in confronti di tale superficialità.